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E se il cane, oltre a essere il Cerbero «del regno dei morti, immagine del terrore notturno, simbolo profetico del tempo, creatura nel vasto deserto del mondo, allegoria rinascimentale dell'ascensione dello spirito, emblema della fedeltà e della malinconia, fosse anche un ritratto, una metafora di un ritratto umano, una riflessione sulla nostra condizione?... La fine di quest'opera delle tenebre sarebbe quindi questo cane che non sprofonda, che si affaccia appena, che non è neppure guardiano del proprio territorio, questo cane concentrato, così presente e così contemporaneamente assente, che contempla con timore e rassegnazione un qualcosa che sta succedendo, forse la vastità dell'universo o forse proprio noi che stiamo assistendo al passaggio vertiginoso della vita, o semplicemente l'umiliazione dell'uomo arrogante e fertile, vinto dall'età e dalla pesantezza.» (Antonio Saura)